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Quante volte abbiamo sentito dire che “è intelligente, ma non sa gestire le emozioni”? Oppure: “ha un grande intuito per le persone”? In entrambi i casi, stiamo parlando – anche senza nominarla – di intelligenza emotiva.

Cos’è davvero l’intelligenza emotiva?

L’intelligenza emotiva è la capacità di riconoscere, comprendere, gestire e utilizzare le emozioni in modo efficace, sia le proprie che quelle degli altri. Non si tratta solo di “essere sensibili” o “empatici”: è una vera e propria forma di intelligenza, che coinvolge competenze psicologiche, relazionali e – come vedremo – anche neurobiologiche.

Secondo Daniel Goleman, psicologo e autore che ha reso popolare questo concetto, l’intelligenza emotiva si articola in cinque componenti principali:

  1. Consapevolezza di sé: riconoscere le proprie emozioni mentre si manifestano. 
  2. Autoregolazione: saper controllare impulsi e reazioni emotive. 
  3. Motivazione: utilizzare le emozioni per raggiungere obiettivi e superare ostacoli. 
  4. Empatia: comprendere le emozioni altrui, anche non espresse verbalmente.
  5. Abilità sociali: gestire le relazioni in modo costruttivo, con ascolto e comunicazione efficace.

Uno sguardo neuropsicologico

Dal punto di vista neuroscientifico, l’intelligenza emotiva è il frutto di una complessa interazione tra cervello limbico e corteccia prefrontale.

  • L’amigdala, per esempio, è la sentinella delle emozioni forti, come paura e rabbia: è responsabile delle risposte emotive rapide, istintive. 
  • La corteccia prefrontale, invece, ha un ruolo di regolazione: è lì che si prende tempo per riflettere, valutare, decidere. È grazie a quest’area che possiamo “mettere un freno” all’impulsività. 

Quando parliamo di autoregolazione emotiva, in realtà stiamo parlando della capacità della corteccia prefrontale di modulare l’attività dell’amigdala. Gli studi con risonanza magnetica funzionale (fMRI) lo confermano: persone con alta intelligenza emotiva mostrano maggiore attivazione della corteccia prefrontale dorsolaterale in situazioni emotive (Beauregard et al., 2001).

Inoltre, recenti ricerche hanno evidenziato il ruolo dei neuroni specchio – implicati nei processi di empatia – e della insula anteriore, coinvolta nella consapevolezza corporea ed emotiva (Singer et al., 2004).

Perché è importante?

Le ricerche ci dicono che una buona intelligenza emotiva è correlata a maggiori livelli di benessere psicologico, relazioni più soddisfacenti e anche migliori performance lavorative.

Uno studio del 2011 pubblicato su Personality and Individual Differences ha dimostrato che l’intelligenza emotiva è un fattore predittivo del successo lavorativo persino più affidabile del quoziente intellettivo (IQ) in molti contesti relazionali e manageriali (O’Boyle et al., 2011).

A scuola, in famiglia, sul lavoro: ovunque ci siano esseri umani che interagiscono, l’intelligenza emotiva fa la differenza.

Si può sviluppare?

Assolutamente sì. Come ogni altra abilità cognitiva ed emotiva, anche l’intelligenza emotiva si può allenare. Attraverso l’autosservazione, la pratica dell’ascolto attivo, la mindfulness, la psicoterapia o l’educazione emotiva fin dall’infanzia, possiamo diventare più consapevoli e più empatici.

Studi di neuroplasticità indicano che la pratica costante di tecniche di regolazione emotiva, come la mindfulness, può rafforzare i circuiti cerebrali associati alla gestione delle emozioni (Hölzel et al., 2011).

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